IL GRAN CONTAGIO DI VERONA
LIBRO SECONDO.

COSI, nel Mare capacissimo dell’ angoscie, à piene vele si navigava: travagliato il Vassello della Città miserabile da gl’ impetuosi venti del terrore, e della strage, Non appariva luce propitia; non s’ achettavavo punto l’ onde del pianto publico mà vie più sempre scoprendosi, Mostri, Sirti, e voragini, si aspettava il naufragio. Superati dalla procellosa marea i ripari, & abbattuto se non l’ animo, almen le forze de’ prudenti governatori, si stava universalmente attendendo l’ ultimo flutto, che mettesse fine alle Vite, & al travaglio. Usciti del numero de’ viventi anco i nuovi sepelitori, più volte riparati nello spacio di pochi giorni, somministrava la invincibil neccessità, gli più strani, e sconci partiti, che pensar possa mente confusa. La Moglie, morto il Marito nello stesso tempo dell’infermarsi, era costretta, con l’ aiuto delle figliuole, e de’ figliuoli, tepido ancora, rivoltarlo in que’ medesimi lini, dov’ erano stati poco prima i sonni communi; e per levare la putredine della Casa, fattogli con le proprie braccia feretro; portarlo ò sù ‘l più prossimo campo, ò riversarlo in grembo al fiume, che per altro delitioso, & ameno, divenia tomba miserabile d’ insepolti: e spesse volte riusciva, che nel dirli l’ ultimo addio, vinta dall’ ambascia, e ferita dall’ infettione, cadeva bocconi sopra la riva, esalando l’ anima, e con infelice viaggio, seguiva nella stessa corrente il poco prima pianto cadavero. Ne per vietare simili inconvenienti, bastavano le publiche provisioni; perche gli accidenti peculiari, variano ogni regola; e la neccessità è più potente d’ ogni Legge. E che potevano fare le reliquie vive del popolo in tanta calamità ! Sopportar il lezzo delle viscere corrotte, è un supplicio, che la maligna, e diabolica natura d’ un Mesentio inviperito, non seppe immaginarsi il più orrendo. Pur troppo l’ orror del giorno, ripieno di strepitosi lamenti atterriva: pur troppo le tenebre della Notte, nel loro silentio mortifero spaventavano, senza la vista di cadaveri, che tanto più muovono, e travagliano, quantoche sostennero l’ anime di persone domestiche. Il Cavallo, il Cane, il Lupo medesimo, adombra, e s’ arrettra, alla vista della propria specie se qualche essangue cadavero gli attraversa la strada. Non all’ Hueomo altrimenti accade; somministratoli tanto maggior ribrezzo, & abborrimento, quanto maggiormente fu la defonta persona ch’ egli mira, à lui famigliare, risvegliandosi molti affetti in un punto, da un sol oggetto. O’ serie di considerationi soverchie forse all’ Historia, mà portate dalla natura del soggetto. L’ inchiostro è un Proteo, che si veste delle sembianze de’ pensieri, che la mente gli somministra. Scuserà facilmente le digressioni, chiunque è stato parte, ò spettatore di sì notabili accidenti; che tolsero non solo la sembianze al viver politico, & alla cura domestica, mà poco meno che alla pietà; per la più importante salute. Un Cavaliero di portata ( il cui nome taccio, perche merita esser raccordato solo in proposito d’ honore ) tocco di Peste, vicino a esalar lo spirito, si lagnava languendo, e morendo, di trovarsi anco per le neccessità dell’ anima abbandonato: E con voce chioccia, e debole, negli estremi aneliti si augurava di morire sopra le forche per haver almeno Religiosi, che l’ aiutasse in quel gran punto. O circostanze del flagello ! Stavano in alcune Case i cadaveri, per mancanza di persone che gl’ interrassero, i giorni, e i giorni insepolti; onde bevuto il fetor di questi nella respiratione de’ sani, il sano in breve era e morto, e fetente; à putredine cumulando putredine.
Portò anco la neccessità alcune volte, che non dovendosi per alcuno conveniente, sotterrar i corpi, massime popolari nella Città, & essendone già partite le barche piene, che mancando chi li interrasse, stettero gli tre, quattro giorni dentro le barche insepolti; onde per neccessità mera appunto, affondati i Vasselli, bisognò lasciar li cadaveri alla Seconda del fiume: la cui corrente in certo modo servendo di purga à se medesima, e distruggendo se non la parte escrementosa, almen la venefica, senza notabil pericolo di contaminarsi, non altro maggior disordine cagionava, che un certo orrore.
Si avvide avegnache tardi dell’importante disordine del sepelir gli corpi in Città, Piacenza; quandoche, ripieni già i Cimiteri, esalava di modo fetido il lezzo da que’ sepolchri, che ammorbando ogni Contrada, confessava il Popolo, restar fomentata la Pestilenza notabilmente, da que’ fetori. Che perciò fù decretato, che accesi gran fuochi intorno gli avelli prima scoperti, per purificar indì l’ aria, si attaccassero poscia le fiamme dentro le sepolture, gettate in quelle bituminose, & ontuose materie, affinecbe restassero in esse consonti i corpi. Partito da abbracciarsi più tosto per correttione dell’ errore, che per elettione di provvidenza. A simili determinationi sarebbe forse disceso anco il Magistrato nostro sforzatamente, se non fossero stati somministrati dalla Veneta humanità, numerosi ministri, per la sepoltura de’ morti, onde cessò l’ orror de’ cuori più deboli, che non potevano sofferire senza timore, il veder per l’acque andar nuotando i cadaveri.
In tanto, non men di noi, piangevano gli altri Luoghi di Terra Ferma; sin allhora conservatesi meglio dell’ altre; Padova, Trevigi, Bassano: passata però la Pestilenza, à qualche Terra del Friuli: e non esente e ‘l Bolognese, & altre Città Ecclesiastiche. Fù notabile in Lombardia, oppresse dal Contagio l’ altre Città circonuicine, il veder Reggio si lungamente preservato: cosa più tosto attribuita à protettione di quella Miracolosa Vergine, che ad alcun mezo terreno,
Cominciò anco in questo mentre ad infettarsi il Territorio Veronese, e si come era in chiaro la cagione del male, cioè il commercio con la Città, così riufciva difficilissimo il rimediarci.
Molti di Corte del Vallaresso, infermarono in que’ giorni, e morirono di Contagio: Non però egli si rittrasse dal consueto operare, che anzi più sempre infervorandosi nell’ esecutione de’ voleri del Principe, e nella salute publica, non risparmiava se stesso, sempre apparecchiato alle Consulte, pronto alle Audienze; e in perpetuo giro di commando dupplicato, in diverse parti della Città; tuttoche gravemente offeso di fresco da sensibilissimo colico, e travagliato poscia per lungo spacio da noiosissimi dolori articolari; onde era neccessitato frapporre, con suo grave pericolo, alla quiete neccessaria, un moto quasi continuo, richiesto dalle vrgentissime cariche.
Sentì anco l’ infettione, la Casa del Proveditor Priuli; e parimente quasi tutte le Corti.
Morì non molto dopo Giordano Serego Conte, Cavaliero di qualità singolari; & il più attempato de’ Signori alla Sanità. E morì anco Michel Sacramoso Cavaliero di conspicue qualità: l’ uno e l’ altro Padre gravissimo nell’ Academia Filarmonica, in vece de’ quali furono molto degnamente eletti ne’ loro luoghi con applauso, & allegrezza, Nicola Rambaldo Cavaliero, e Lodovico della Torre Marchese, soggetti di nobilissime conditioni. Fù openione, che l’uso troppo familiare degli Antidoti calidi uccidesse il Conte Serego.
Patirono in questo tempo notabilmente gli Monasterij, sì di Religiosi, come di Monache: così andava questo incendio funesto, consumando indifferentemente le persone anco meno esposte al commercio: havuta però la proportione del più, e del meno, dalla riserva, al patimento, avegnache con regole assai incerte: perche molti veggo al dì d’ hoggi, c’ hanno coversato, e dormito con gl’ infetti, e non hanno contratto il male: altri, sempre rinchiusi, non han potuto evitar il colpo.
Facendosi intanto la paura sempre maggiore ne’ Cittadini, non solo andavano gli Deputati renitenti alle loro cariche, mà cominciarono etiandio gli venditori de’ rimedii, à ritirarsi dal dispensarli, con notabile pregiudizio del publico: laonde con nuove impositioni di pene, e pecuniarie, e corporali, ad arbitrio del Magistrato, fu cercato di rimediare à così fatti disordini.
E perche ardivano molti, di esporre gli cadaveri per le strade, fu intimato che per lo avenire, non osasse alcuno di qual si volesse conditione, portar cadaveri nelle vie; sotto pena di poter essere impunemente offeso, e morto: assegnato anco premio all’ uccisore, de’ beni del reo, ò dell’Ufficio; e riserbatosi il Magistrato, di proceder anco con altre pene severissime corporali.
Nel Chaos di tante, e si notabili confusioni, si avvilluppava un altro disordine mortale; & era, che occultavano alcune persone di poca rettitudine d’animo, il morbo, per privato interesse, con gravissimo nocumento del publico: che perciò il Magistrato, pensò in due maniere di rimediarci. Prima, procurando che fosse formato dal Vicario Episcopale un Decreto, approvato anco da altri Theologi, mediante il quale venisse negata da’ Confessori l’ assolutione à chiunque il male celato havesse: E poi, per accoppiare a’ mezi spirituali, la forza anco de’ temporali, trà quali il primo luogo hà la pena, furono fatti Proclami, dal Vallaresso, chiarissimi in simil materia; prohibendo in pena della vita à qualsivoglia, che con tumori, o con altri segni di Contagio evidenti, caminasse per la Città, o conversasse con gli altri. Laonde, essendo capitato à notitia publica un reo, convinto e confesso di questa tacciuta infettione. ( da che derivò anco la Morte d’altri ) fu sententiato à morire di moschettate; sacrificata con una esemplare Giustitia la vita d’vno, alla pubblica salute; cavando dalla morte di questo, vitale preservativo per molti, e molti.
Arrivò circa i primi giorni di Luglio Giovanni Henisio, Medico Augustano, invitato con honorario molto degno, per supplire à bisogni urgenti della Città, mancati già molti Medici, & impauriti i pochi rimasi dall’ essempio de’ Colleghi assai più potente à movere, che ogni persuasione in contrario: Condusse Questo un Chirurgo seco: alla venuta de’ quali, comeche le novità sempre piacciano, tutta la Città parve che respirasse, e si promettesse esiti grandi, atteso ch’eglino venivano con attestationi molto degne, d’ haver medicato in altri Lochi la Pestilenza. Erano tenuti quelli infetti per felicissimi, che haveano gratia di vederli; e correva l’oro in gran paghe, perche ogn’ uno con la forza di questo procurava rapirli alla moltitudine, che li richiedeva. Levava assai del sollievo all’infermo, & à li assistenti, il dover con essi favellare per intreprete; ignudi affatto anco di quel rozzo Italianismo, che suol imbevere al primo incontro il Germano. Diversamente si ragionava delle sue cure, hora fortunate, hora infelici. La Passione leva molto all’ auttorità di chi giudica; perche l’ evento prospero concilia stima, ed affetto; l’infelice sprezzo, e malevolenza, supposta anco la parità dell’ impiego, dal canto del professore; perche la Fortuna, nobilita, & avvilisce notabilmente, le contingenze. Fù detto, che lo Henisio, & il Collega Chirurgo, più d’ una volta intimoriti dicessero, d’ haver incontrato una Peste molto orrenda in Verona; non punto simile à quelle della Germania, assai più trattabili, e più sanabili. La moltitudine de gl’ infermi, la penuria de Medici, parte perduti, parte impotenti, e circospetti, cagionava che appena questi Alemani potessero supplire con le lor visite, al sesto del bisogno, avvegnache lunghissime fossero le giornate.
Non meno però di questi, travagliava in essercitio continuo, il Dottor Bonaventura Ferrari, di Udine, honorato di publico stipendio dal Principe Serenissimo, per la cura delle Militie; persona ingenua, & intrepida senza pari, in sì gran pericolo: buon conoscitore de’ commodi della vita, ma pronto à incontrar la Morte, per sostenere debitamente la propria Carica. Questo si accostava anco alla più infima povertà; e in particolare per carità a’ Monasterij, allhora quasi abbandonati da’ propri Medici. Sortirono a questo molte cure felici, e conspicue adoperando egli scielti medicamenti; onde meritò 1′ honore dalla publica Equità, e benignità, di catena, e medaglia d’ oro, per espressione di aggradimento dell’ utile e degno servitio prestato al publico. Nella preservatione di questo, mentre si ferma il pensiero, vacilla la Filosofia. Visitava le migliaia de gl’ infetti, dimorando à stanza chiusa con loro; maneggiando i tumori, senza usare preservativo immaginabile: Niente di cura circa i panni, co’ quali si avvicinava à gli ammorbati: e quello ch’ è più degno di maraviglia, conversando strettamente e senza riguardo co’ suoi famigliari, nissuno mai contrasse il malore. Una Antipathia di temperamento, con la Pestilenza, mi appagarebbe, in un accidente casuale, d’ essersi due, quattro, sei, dieci volte esposto: Mà si tratta d’ innumerabili; e non in riguardo ad uno agente operante sempre d’ un modo, mà sì bene à Contagio in quel supposito più, in quell’ altro meno efficace: variando anco giornalmente à sorte il temperamento, conforme i cibi, i sonni, il coito, e l’ altre cose non naturali; portandosi questo a’ feriti, con varia dispositione, ò più porosa, ò piu densa, e con tante altre variabili circostanze; ond’ è forza ch’ io ancora esclami, che la Natura della Peste è incomprensibile, e ch’ è veramente flagello molto provato, e poco inteso.
Oltre il Ferrari, si affaticavano certi Empirici: alcuni Soldati Francesi. Qualche Corso. Uno Antonio Grossi, Spagirico, dispensatore di certa sudorifica polvere, per comun grido profittava assaissimo: Et altri del volgo, fino à vilissime feminelle, che sperimentati in se salutari presidij, andavano poi per rittrarne utile, communicandoli à bisognosi.
Vennero poi di Venetia alcuni Chirurghi, i quali furono dal Vallaresso distribuiti per Sestieri, affineche la Città egualmente participasse de gli effetti del suo Zelo paterno: premessa loro una severa comminatione, perche dovessero astenersi, da ogni illecito provecchio. Quasi tutti questi, in pochi giorni diedero fine al servitio loro, & alla Vita.
Facevasi quotidianamente maggiore la mortalità nelle Militie, e massime nelle Cernide; molti dello cui numero si davano anco alla fuga, con disordine, e pericolo publico; al che pure pensati furono rimedij opportuni.
Era parere universale, che la strage del Contagio, fosse hormai pervenuta al sommo, tuttavolta la pratica facea vedere, che restava nuovo grado al flagello per avanzarsi; quandoché, tornate anco a’ loro luoghi le persone rurali, & uscite le Soldatesche, oltre perdute molte migliaia, e molte de’ Cittadini, dovendosi ragionevolmente per la regola del tanto per tanto, raccogliere assai minor numero di persone morte, si osservava tuttavolta non scemare, anzi accrescere la loro copia ne’ ristretti: perche all’ ingresso di Luglio, morivano trecento e cinquanta persone per giorno: onde si comprendea manifestamente, che di pari passosi avanzavano l’ ardore della stagione, e lo incendio della Peste, e quel ch’ era peggio, col numero de’ morti, multiplicava il fomite del Contagio, e crescea l’ orrore in que’ pochi vivi, che già teniano la salute per difperata, e la Città, per efterminata: mancando massime con celere eccidio gli Ministri neccessarij, da che nasceva la confusione delle regole instituite. S’infermò in questo tempo Angelo Giustiniano, soggetto conspicuo, e Senatore di prestantissime conditioni, nella Carica di Pagador delle Militie; & in brev’ hore morì. Ne’ dì medesimi, perirono di Contagio, altri della Corte del Vallaresso; distrutti quasi totalmente i Monaci neri di Santo Navario dalla Peste, nel convento de’ quali era esso Proveditore alloggiato: donde, per consiglio de’ Medici, e costretto dalle persuasioni, e preghiere de’ Conti Giusti, si trasferì in un degno appartamento del nobilissimo lor Palagio, perche la di lui difficil conualescenza, potesse dalla bell’ aria, e dal luogo ameno, ricever qualche ristoro.
Erano mancati di nuovo i sepelitori non solo della Città, più volte alle fresche perdite d’ altri sostituiti, mà quelli anco che la Veneta benignità haveva trasmessi, parte erano estinti, parte languivano fotto il peso impari à gli homeri. Che perciò con irreparabile pregiudicio del publico, tardavano molte volte i corpi, ad esser mandati fuor delle mura a’ lochi assegnati.
Uno de’ Padri Cappuccini deputati alla cura del Lazaretto, morì; Religioso molto savio, attivo, e caritativo; il quale per la sua bontà, e sufficienza, fu sospirato universamente.
Successe sotto gli tre di Luglio l’accidente infausto, dello incendio del Santo Monte di Pietà; in tempo che pur troppo alterati gli animi, e contaminati dalla strage della Peste, e da’ pericoli della Guerra, anco i più sani, languivano. Al tocco del maggior Bronzo sonavo, nuntio sempre di sciagure ò private, ò publiche, in quello strepito d’ armi, non fù certo cosi intrepido petto, che non desse luogo al dubbio di qualche incursione esterna, ò di qualche militare sollevatione dentro della Città; rappresentandosi ad ogni mente più gravi rischi.
Si come dunque nell’ ambiguità del pericolo, diversamente discorreva l’ animo; sempre però indovinandosi male, così in varie guise si apparecchiavano i Cittadini, per impiegarsi; pigliando i più l’ armi alla mano, sì per effondere il sangue per lo Serenissimo Principe bisognando, & sì per diffendere le proprie Case, e lor medesimi, con ardire. Mà in tanto spargeano per le publiche strade diverse voci lamentevoli, frà gli orrori della Notte, la cagione del toccarsi il metallo publico à martello: cioè ch’ ardeva il Santo Monte. Chi ha veduto un condannato, posto trà le forche, e l’ acceta, ch’è neccessitato morir sù queste, e sotto quella; col solo vantaggio della elettione del patibolo, s’ imagini di veder l’ animo della parte maggiore de’ Cittadini, con picciola diminutione d’orrore, rimanere nulla, ò poco sollevato; conciosiache dove si temeva poco prima della barbarie del nimico, ò della rapacità militare, che pur possono dalle preci, restar addolcite, allhora, conoscendo d’ haverla con un aversario implacabile, non che crudele, com’ è il vorace elemento, non potea non esser gravissimo il cordoglio de gli animi, e massime della nobiltà.
Verona, si come hà delicati, e sottili ingegni, così nutre spiriti molto vasti, e capaci d’ ogni elato pensiero: che perciò con magnanima, avegnache non forse del tutto prudente gara, concorrendo nelle gravi spese i soggetti, nasce che superando quelle il nerbo delle sostanze, si accorgano molti, che non camina giusto il computo delle rendite co’ dispendi. Quindi avviene, che con varie alternationi, altri riponga gli estivi arredi in tempo di verno, presso chi presta con quella lecita vsura; e quelli della Vernata altresi la State; la onde sempre nel Monte Santo di Pietà, sono stati abbondanti gli abbigliamenti ricchissimi d’ ogni sorte, e non solo gemme, & ori, ma etiandio pretiosissimi addobbi, e vestimenta sontuosissime; ammesse in quel luogo con assai debole imprestido, per cautione maggiore di que’ Ministri.
Sparsa adunque la ria novella dello incendio, che con rapidezza quasi fatale, & irreparabile andò le stanze tutte occupando, ogn’ uno vidde in se medesimo più tosto luogo à ramarichi, che al rimedio: Massime che, rare sendo quelle Case, che non havessero infermi, rari anco erano quelli, che ò non havessero bisogno di ricever aiuto, ò fossero habili à portarlo in altra parte.
Allhora più che mai manifesta apparve la perdita de gl’ innumerabili Cittadini; conciosiache alla estintione di così importante incendio, si vidde accorrere in debolissimo numero il grosso non solo della interessata Cittadinanza, mà quelli Operarij anco obligati sotto gravissime pene à concorrere: laonde se non erano alcune Compagnie di Albanesi, il danno che veramente fu inestimabile per lo incendio del Monte, fora anco stato commune, à molte e molte Case propinque: movendosi perciò questi con la naturale forza, & agilità, comandati da’ Maggiori Rappresentanti, profittarono molto, per prohibire il progresso del voracissimo foco. Era cosa fingolarmente maravigliosa, il veder anco Nobilissimi Personaggi, con affetto, e pietà, deposta in gran parte la Maestà della lor nascita, adoperarsi con zelo manualmente, per l’ estintione dello incendio. Pietro Michiele, e Nicolò Mosto, Camerlenghi, portarono sù le proprie spalle fuori delle munitioni di Corte, i fasci d’ accete, sù la Porpora Questoria: stimando convenirsi ad animi grandi ogn’ impiego, dove il publico resti soccorso, né maggiori bisogni. Riscaldato il Mosto sovverchiamente, ammalò, e morì con tumor pestifero: assistente sempre à lui il Michiele, che baciatolo anco per la mutua benevolenza, vicino à gli estremi aliti, mostrò la forza dell’ Amicitia, e le maraviglie della Natura, essendo egli sempre continuato in buona salute. Al Camerlengo Mosto defonto, successe Vettor Pisani, anima delle Gratie, & Idea della Nobiltà: il quale ne’ più calamitosi emergenti nostri preservato, sentì però il colpo penetrante della perdita del Padre, e di due Fratelli, nella Veneta pestilenza.
Il notabile e lagrimosi accidente di questo incendio, si come fù effetto consecutivo della Peste, ( perche uno infetto, delirando accese il foco sotto del letto proprio, onde la fiamma si avanzò tanto ) così venne poi, cangiata Natura à farsi causa di accrescimento della medesima Pestilenza: conciosiache il grave danno patito in molte Famiglie, nella combustione delle sostanze; la commotione da principio de’ sangui, temutosi di molto peggio, diede causa più facile corruttiene d’humori. Osservo, che quella stessa conspiratione di Stelle, che porta un publico flagello, concorre anco unitamente à promovere le circostanze che lo rendano più acerbo. Se la Pestilenza dovea togliere tante migliaia di persone, non potea farlo, senza che la fame disponesse i corpi; la guerra consternasse gli animi; lo incendio notabile, parte affliggesse, parte stancasse i Cittadini.
Quindi è, che il Contagio del settantacinque, che non hebbe concomitanza di Guerra, nè di Penuria considerabile, fù un Ombra di questo: tolti allhora de gli diece gli due appena, & uccisi hora de gli cinque li tre. Hoggi ch’io scrivo, sotto gli 27. di Febraro 1631. hò inanzi gli occhi questo computo, tenuto per gli publici Cancellieri, cioè:
Che del 1627. fatta la descrittione de gli Habitanti in Verona, e Sottoborghi, furono trovati cinquantatre mille, cinquecento, e trentatre: fatta parimente nel principio del corrente mese, furono trovate non più di ventimille, seicento, e trenta persone, cioè settemilla, seicento, ottantaun Huomini; novemille quattrocento, e quarantacinque Donne; e tremille, seicento, e duo Putti; mancando trentaduomille, ottocento; e novantacinque persone, come segue distintamente.
DESCRITTIONE DELLI HABITANTI
di Verona, & suoi Suborghi fatta l’Anno 1627.
Rinovata quest’Anno 1631. nel mese di Genaro,
dalla quale si vede la perdita fatta nel Contagio
L’Anno 1630.
Con la nota dei Rimasti à Contrada per Contrada, oltre le copiose Militie.
Contrade | Erano | Morti | Vivi | Hom. | Donne | Putti |
---|---|---|---|---|---|---|
Di S. Andrea | 1000 | 704 | 296 | 122 | 126 | 48 |
Abbadia di Bra | 643 | 336 | 307 | 105 | 158 | 44 |
Sant Apostolo | 785 | 447 | 338 | 127 | 162 | 49 |
Sant Agnesa extra | 613 | 576 | 337 | 120 | 138 | 79 |
Avesa | 930 | 536 | 394 | 162 | 165 | 67 |
S.Bened, S.Egid, S.Salv.Vech | 1757 | 987 | 870 | 309 | 384 | 177 |
Santa Cecilia | 315 | 178 | 137 | 40 | 63 | 24 |
Santa Croce | 1252 | 616 | 636 | 211 | 286 | 139 |
Santa Eufemia | 656 | 438 | 218 | 81 | 96 | 41 |
La Frata | 949 | 520 | 429 | 169 | 190 | 71 |
Feraboi, & Colomba | 843 | 315 | 528 | 192 | 220 | 116 |
S. Fermo e Rustico, S.Sebast. | 1729 | 986 | 743 | 320 | 317 | 106 |
San Gioanni in Foro | 387 | 188 | 199 | 76 | 92 | 31 |
San Georgio | 863 | 701 | 162 | 78 | 72 | 12 |
San Gioanni in Valle | 1000 | 510 | 490 | 164 | 227 | 99 |
Isolo di sotto | 1213 | 723 | 490 | 205 | 225 | 50 |
Isolo di sopra | 1071 | 587 | 484 | 181 | 257 | 46 |
Santa Lucia extra | 500 | 271 | 229 | 48 | 76 | 105 |
S. Martino Acquario | 598 | 332 | 266 | 101 | 113 | 52 |
S. Michela Porta | 700 | 414 | 286 | 107 | 102 | 77 |
S. Mattheo in Cortiuo | 550 | 297 | 253 | 88 | 103 | 62 |
S. Marco | 676 | 269 | 407 | 149 | 178 | 80 |
Mercà Nouo | 778 | 488 | 190 | 123 | 122 | 45 |
Di Santa Maria Anticha | 857 | 495 | 362 | 135 | 181 | 46 |
Santa Maria in Chiavica | 1340 | 1080 | 260 | 119 | 112 | 29 |
Santa Maria in Organo | 1105 | 772 | 333 | 119 | 183 | 31 |
S. Michel in Campagna | 1705 | 843 | 862 | 358 | 325 | 179 |
S. Nazaro | 3122 | 2234 | 888 | 324 | 388 | 176 |
S. Nicolò | 748 | 499 | 249 | 97 | 124 | 28 |
Ogni Santi | 1882 | 1199 | 683 | 232 | 331 | 120 |
S. Pietro Incarnal | 1674 | 940 | 734 | 284 | 326 | 124 |
Pigna | 582 | 303 | 279 | 127 | 115 | 37 |
Ponte Pietra | 1005 | 666 | 339 | 164 | 164 | 6 |
S. Polo | 3063 | 1953 | 1110 | 376 | 376 | 129 |
S. Quirico | 893 | 579 | 314 | 131 | 131 | 52 |
Quinzano | 862 | 426 | 436 | 167 | 167 | 58 |
S. Salvar Corte Regia | 463 | 297 | 166 | 52 | 52 | 12 |
S. Steffano | 2621 | 1675 | 946 | 390 | 390 | 90 |
S. Silvestro | 2267 | 1288 | 979 | 305 | 305 | 192 |
S. Tomè | 1042 | 625 | 417 | 172 | 172 | 45 |
Toreſel e Tomba | 740 | 457 | 283 | 103 | 103 | 72 |
S. Vitale | 2745 | 1961 | 784 | 296 | 296 | 51 |
S. Zen Orador | 996 | 597 | 399 | 145 | 145 | 80 |
S. Zen di sopra, & Beverara | 3713 | 2687 | 1026 | 297 | 297 | 296 |
👉🏿 | 53533 | 32895 | 20630 | 7681 | 9445 | 3602 |
Contrade | Erano | Morti | Vivi | Hom. | Donne | Putti |
Ed ecco perciò Verona, pochi mesi avanti bel theatro di gusti Cavallereschi, fatta spettacolo infelicissmo à gli stranieri di miseria compassionevole, per le publiche, e per le private ghiatture: travagliata dalle esterne invasioni; meza consumata dalle proprie militie; guasta dalle inondationi; abbattuta dalla Pestilenza; & in uno de’ più degni, e pregiati membri, tocca non solo, mà sfigurata dal foco. O memorie, ò tempi ! Eran riddotte le Cose à segno, che meglio si potevano lagrimare, che ristorare, e meglio piangere, che descrivere. La naturale elatione allhora de gli animi Veronesi, si vidde se non distrutta, almen depressa, e consternata.
Due cose erano in questo mentre portate al sommo della miseria; la moltitudine de’ poveri, riddotti quasi senza aiuto, e la quantità incredibile de’ cadaveri da interrarsi: che perciò à questi due incovenienti conveniva che particolarmente si rivolgesse la mente publica: poiché della povertà non pochi perivano di disagio; & il lezzo de’ corpi morti, già ammorbava le strade tutte, non che i Templi, e le Case. Con santissimo dunque, e laudabilissimo avvedimento, e molto ben sentito dal privato, e dal publico, pensò il Vallaresso di rimediar à duo disordini à un tempo: ciò era, con imporre à chiunque dar volesse à qualche congiunto sepoltura in loco sacro, che dovesse appresentarsi all’Ufficio, con questi duo requisiti; d’haver sepoltura propria, e di sborsare per elemosina certa somma di danaro, havuto riguardo alla conditione, e facoltà di chi faceva la istanza. Con questo termine assai destro, e delicato, rispetto l’acerba negativa assoluta, si veniva à ristringer molto il numero de gl’ interrati dentro della Città; & insieme si dava à infiniti poveri, che languivano di disagio, un humanissimo soccorso. Tutto il danaro estratto da opera così pia, passava alla Cassa dell’ Vfficio alla Sanità; senza che un minimo ne capitasse alla mano del Vallaresso, ò di alcuno suo Ministro: come per publico Proclama fece vedere, sotto gli sei d’ Agosto, in cui appare minutamente la Econemia di tutta la summa, sino à un picciolo.
Mà per tornare alli sei di Luglio, era il numero de’ morti di ducentosessanta il giorno: buona parte de’ quali perivano senza segni esteriori: ò fosse perche il male degenerasse in febbre maligna men perniciosa; ò più tosto perche facendoci sempre di peggior natura la Peste, restassero le complessioni abbatute prima di poter trasmettere parte della materia venefica all’ estrinseco: che perciò occupando il male le parti intime, veniva sempre à farsi peggiore; in quella maniera che una guerra civile è più destruttiva, che una con gli stranieri.
Era cosa degna insieme di compassione, e di riso, anzi di castigo, il veder in una pestilenza così crudele, secondata malamente dalla Carità de’ Cittadini, la vigilanza del Magistrato; percioche conveniva à Capi, portar quasi soli il peso gravissimo; ò fosse per lo timore della Morte tanto più prossima, quanto più era la Vita esposta al commercio; ò fosse perche la pazza superstitione, più preme nella sepoltura de’ morti corpi, che nella preferuatione de’ vini: bisognava per tanto un valido eccitamemento à più deboli d’ animo, & à più renitenti d’affetto; che perciò sotto gli ventisette di Luglio, furono fatti nuovi Proclami, con maggior pene; e rinovate le provisioni, in materia di Deputati, per gli duo mesi a venire, Agosio, e Settembre.
Continuava circa gli dodeci di Luglio il numero de’ morienti, circa gli trecento per giorno: e frà gli altri, tutte le Donne parturienti perivano. Morì in questo giorno Fernardo Conte Nogarola, Gentiluomo di letteratura, e di bontà singolare; morto il giorno inanti, Antonio Conte Nogarola; che fù seguito dal Collonello Conte Lodovico suo Fratello, sotto gli trenta; periti altri rampolli di quella Nobilissima stirpe, e massime alcuni figliuoli del Conte Alessandro, & uno erede unico del già Conte Fabritio. Sotto gli quattordici, morì il Conte Claudio Canossa, Cavalier di gran dottrina, e di rarissimo intelletto. Perì anco Bernardo Brusco, Canonico Lateranense, e scrittore eruditissimo. Poche Case si vedevano, e pochi luoghi di trafico, non derelitti, e non segnati di bianca Croce. Nelle Chiese, solite di esser ufficiate con trenta Messe, appena tre se ne celebravano; morta la più parte de’ Sacerdoti: onde anco il danaro solito di offerirsi per esse, era salito à sei tanto del consueto: abuso però ( come diremo ) indi à pochi giorni rippresso dalla discrettione de’ Superiori. Ad eccesso di prezzi erano anco ascese tutte le merci, si per lo vitto, come per lo vestito: ilche recava scandalo grandissimo a’ più sensati; quandoché supposta anco la morte di tanti, e tanti Operarij, che faceva crescere le mercedi, scemava altresì per la perdita del Popolo, l’ uso delle cose,
Continuava la ghiattura anco de’ Medici rimasi, tuttoché pochi, e parimente de’ Chirurghi; giacendo non meno infetti, ò morti, gli sepelitori rimmessi: onde cinque barche ripiene di fetenti cadaveri, stavano con la proda alla riva, vicino le profonde fosse, apparecchiate per sotterrarli: mà i ministri mancando, era chiamata la publica providenza alla ragionevole novità, di qualche sforzato partito. Il gettarli all’ onde, era abborrito, si da Chi fù per li giorni avanti sforzato à farlo, dalla urgente neccessità; & si anco da que luoghi ove la corrente andava conducendo i cadaveri. Fù adunque conchiuso per lo minore di molti mali imminenti, accender le barche, e consumar dentro quelle, le cataste de’ puzzolenti, e putridi corpi; attesoche il valor de’ vaselli, era il danno più lieve, che potesse patir il publico.
La Soldatesca di pari passo, correva al mortifero precipitio con gli altri. Sanavano in più numero nella natione Albanese, che nel rimanente; ò fosse per la forte natura, molto avvezza al patimento, ò fosse che la continenza loro ordinaria ne’ cibi, e quelli di grosso nutrimento, riducesse i tumori a più presta suppuratione: posti in opera da loro, certi empiastri facili, e familiari. Delle Cernide, morivano senza numero: forse per gli animi abbattuti dal timore dell’ armi esterne, e per lo cordoglio delle famiglie lasciate contro la propria volontà. Ritardava il Dottor Ferrari la strage nelle militie, con le regole convenienti de’ rimedi, e del vitto; & altresì il diligentissimo Cecconi, allhora Quartier Maestro, & hora Governatore di Sithia, e Ierapetra nel Regno di Candia, con una sollecita cura intorno la mondezza, e lo espurgo de gli alloggi; & all’altre à se spettanti fontioni. Questo, quattro volte fù assalito dal Morbo, e pur sempre semivivo, si resse in piedi continuando nel servitio del publico.
Piacque alla Divina Clemenza, che lo influsso pessimo cominciasse circa il mezo di Luglio, avegnacbe lentamente, à ricredere; riddotti gli diarij de’ morti à ducento il giorno. Fù commessa una diligente descrittione per cadauna Contrada, per havere un più sicuro giuditio delle pur troppo in confuso evidenti perdite: Opera che portò qualche tempo, e che riuscì in relatione come di sopra.
Già che Dio ci lasciava per lo spiraglio delle sue Misericordie, apparir un raggio della luce vitale della sua gratia, cessando in parte le morti, fù pensato dal canto della humana providenza, al potentissimo rimedio della Generale Quarantena della Città: praticata per l’ ultimo de’ più certi antidoti universali in più tempi, per estirpare totalmente la Pestilenza; ma tale stabilimento portava seco gravissime repugnanze; e due sopra tutte: la strettezza del danaro per sovenire la Povertà; e la necessità del transito delle Militie da questa à quell’ altra Piazza, in quelle ardue congiunture.
Mancando adunque non già l’ avvedimento, ma il modo di proffittarsi per tale strada, per recider almeno le cause coadiutrici del Morbo, furono d’ ordine del Magistrato vietate quelle sorti di frutta, e di herbaggi, che più sogliono à giuditio de’ Medici, nuocere d’ corpi, disponendo alla putredine piu malefica gli humori.
Fù parimente decretato, che le carni non fossero vendute da’ maccellai per nissun modo, prima di essere gli animali vivi legitimati da’ Periti à ciò eletti: conciosiache le morti anco negli armenti, e nelle greggie multiplicavano, non senza segni d’ infettione trà loro.
Due altre barche ripiene di corpi morti, bisognò ardere in que’ giorni; per mancanza di sepultori, e per non abbandonarli di nuovo all’ acque: Ma venuti di Venetia venti ministri, si seguì d’ interrarli nelle sotterranee cave già fatte.
Nel bagliore incerto di salute propinqua, che si vedeva, ò pareva di vedersi, mostrato dal desiderio, e dalla speranza, & additato da una certa apparenza di manco morti, per accertarsi il Vallaresso dell’ essere della Città, comandò, che ragunati di nuovo que’ pochi Medici che restavano, si facesse una soda, e ben fondata discussione intorno la Natura del Male; cioè se più pernicioso fosse, ò più benigno del passato: si considerasse molto bene quali medicamenti, e di che temperie, più riuscissero profittevoli: si prefcrivessero per universale benefficio raccordi utili, e scelti rimedij: si disputasse del timore, e della speranza che si dovesse ragionevolmente havere del progesso, continuatione, alleviamento, & annullatione del male. Al cenno di quel Sapientissimo Senatore, si congregarono i pochi Medici rimasi; serbati alcuni de’ principali, e più attempati. Il rigore della Giustitia Divina, ne’ suoi furori, porta seco le sue dolcezze, con un misto ineffabile di Pietà. Alla Città misera, perduti i molti, volse Iddio conservar i pochi, per la maggior parte i primarij. Proposti i quesiti, e raccolti ogn’ uno gli spiriti, fù con gran sodezza disputato intorno le soggette materie. Verona, non è luogo di Studio publico, mà per le Città, per le Corti, e per gli Studi c’ han praticato persone atte à darne giuditio, ella hà Medici da Regi. ( Il candore della Penna ingenua, e veritiera, eccettua quello che la move, riserbato à lui, solo un ottimo desiderio di rassomigliar i Colleghi. ) Lo idioma del prisco Latio, è così domestico alle lingue de’ buoni Fisici Veronesi, come il matèrno. V’ hà tra essi più d’ uno, così atto ( bisognando ) all’orare, come al disputare, o al toccar polsi. In altre Città, anco molto degne, appena han forma di consulta gli discorsi veramente volgari, e per la lingua, e per le cose.
Fu adunque conchiuso; Cessar le Morti, mà non il male: attesoche ne’ dieci maggior è la perdita di quattro, che di venti ne’ cento: cioè, che mancato il grosso de’ Cittadini, rispettivamente la perdita de’ pochi, era maggiore ne’ pochi, che quella de’ molti ne’ moltissimi.
Che quanto a’ medicamenti, quelli haveano più approffittato, che manco travaglio apportavano alla Natura, pur troppo afflitta dal male. Doversi perciò fuggire la missione del sangue; debilitate pur troppo le forze dalla venefica materia, insultante intorno al core. In questa parte della Chirurgica aita, erravano alcuni anco de’ principali; conciosiache, ò havesse la Natura à gli Emuntorii trasmesso, ò procurasse di trasmetterci; era il trarre il sangue, non altro che uno sviarla dalla sua opera, e dall’ intraprese fontioni. Fù stimato cagionare il medesimo inconveniente, gli vessicanti, posti sì alle parti estreme, come sotto i tumori; attesoche non solo si distoglie la Natura dal trasmettere alle glandule, sforzata d’inuiar gli humori all’attrattione de fenigmi, mà anco, perche il dolore che cagionano, scema grandemente la Virtù, pur troppo dalla qualità venefica consternata; doversi perciò almen di rado abbracciare simil rimedio c’ hà del crudele, perche non resti la natura operante sturbata, al trasmettere per le sue ignote maniere, e per gli meati à lei sola manifesti, à quelle parti opportune, ch’ ella il più delle volte intende meglio assai del Ministro, che la seconda, ò crede di secondarla. Che i rimedi, si come in calda stagione sconvenivano caldi, e secchi, così considerata la putredine eccedente, non convenivano freddi & humidi, mà più tosto eleggersi dovevano temperati, vergenti al secco, mà nevtri al possibile tra le duo prime qualità attive: con questa aggiunta, che le materie fossero delicate al gusto, e di soave fragranza. Il Vino, era più tosto connumerato tra le Medicine, che tra gli alimenti. Si desse à peso, & à misura. Aureo, odorato, puro, in minima quantità: perch’ egli hà gran convenienza con gli spiriti; e la Pestilenza, à retta linea si mette a fronte alla Virtù spiritale per atterrarla. A’ tumori, non doversi applicar materie molto attrahenti, mà dolcemente disponenti la materia alla cottione. Latte, Pane, Ova, Botiro, ed Oglio. Questo placido e familiare medicamento; hà rotto felicemente le centinaia di tumori pestiferi, con più sicurezza, che i composti medicinali delle Officine. Galeno anch’ egli compose un libro de’ Medicamenti pronti alla mano, Paratu facilibus. Io son d’openione, che la Natura contenta in ogni cosa del poco, anco nella Medicina intenda lo stesso. Hò un mio pensiero, che dal Frumento, dall’ Uve, e dall Ulive, si possan cavare quasi tutti, e forse tutti i medicamenti bisognosi all’ human genere, attesa la proportione di questi, col temperamento humano. Homero, e Virgilio, introducono i loro Archiatri, con simil rimedi in mano; e col Vino in particolare: che perciò forse gli antichi chiamarono Bacco Medico: e ’l Barchlaio, gran Condottiero de’ letterati moderni, fà che Poliarco si lavi con l’ aceto le ferite, in vece d’ usar l’ oglio della Spagnola, ò dello Scotto. Il lusso, e la svogliatezza, hanno commendato gli rimedi forestieri, in tanto di pregio, in quanto di prezzo. Quelli c’ han più adoperato attrahenti, e bizzarri compositi d’ Empirici, più son periti; perc’ hanno havuto doppio carnefice alla strozza, il veleno della Peste, e ’l dolore de gli empiastri. Fù detto, non doversi negar fede alli Alessifarmaci, frà quali alla Pietra Bezoar e all’ Unicorno, canonizati per utilissimi dalle prove centuplicate. De’ rimedi, fù imposto à due più giovani Medici, di registrare certa scielta. La Morte rapì loro lo ftile, dalla mano già accinta a scrivere. Francesco Pona, diede segno ( come s’ è detto ) dell’ amore, & ossequio verso la Patria, chiudendo in brevissimo foglio la preservatione prima, indi la curatione del Morbo: abbracciata dal mondo, e ristampata con le dignissime carte dello Eccellentissimo Settala Protomedico di Milano. Il Pona fu breve, perche chi hà il veleno al labro, non ha voglia di discorsi: nè mentre che Soranto si prende, luogo hanno lunghe consulte: fora stato opportuno in duo linee poter ristringere cento regole; pensando più alle parole da tacersi, che da dirsi.
Ciò che si dovesse sperare, ò temere de gli eventi, era il punto manco facile. Fù detto, de’ contingenti futuri, esser indeterminata la Verità; E che de’ morbi acuti, secondo Hippocrate, difficili sono le predittioni, molto più saran difficili della Pestilenza Morbo Antonomastico. Fù concluso però in isperanze; si perche la Misericordia infinita, non vuole annientare i peccatori, & sì, perche le provisioni fatte dal Valiaresso, e dal Magistrato ordinario, promettevano esiti prosperi.
Erasi tra tanto posto ottimo ordine alla interratione de’ Cadaveri, materia, che giornalmente con emergenti sempre più inopinati, e strani, cagionava disordini nella moltitudine, e pensieri nel Magistrato: il quale osservando, e disponendo ogni circostanza di questo duro, e difficile negotio, al minor danno, & orrore universale, comandò che fossero nelle hore fresche e temporive della mattina asportati, sì per evitare l’ abominatione del Popolo, nella frequenza rispettiva, & sì anco per scemare la malitia di que’ vapori, che più facili esalano, e più potenti nelle hore più calde.
Furono anco con estrema diligenza purificati gli Quartieri delle Militie, con profumi, & altri argomenti, e così gli utensili loro.
Correva in tanto fama nel Popolo, che gli apparati di Guerra trà gli Alemani, si facevano gagliardi; massime di scale, e d’ altri stromenti minaccianti la sorpresa di qualche Piazza: Che perciò, si come ne’ Capi nostri di Guerra, à quali si aspettavano considerationi simili, si vedevano di pari passo caminare le provisioni, e ‘l coraggio, così poi ne’ Cittadini, massime nel Volgo, pur troppo afflitto, e soprafatto dalle tante calamità, pareva che languisse lo spirito, e che quasi dati in preda alla diffidanza, nelle di lei braccia si abbandonassero: divulgatosi parimente, essersi udito certo strepito di notte tempo dentro le fosse, mà in modo che per essere l’ aria oscurissima, non potè la Soldatesca Francese deputata alla guardia, molto ben distinguere ciò che fosse. Motivi tutti, che si come facevano rinforzar i Presidii, e levar le imperfettioni delle parti più deboli, così cagionavano nuovi moti ne gli animi, infievoliti dalla aversa influenza, & abbattuti dalla strage attuale.
Seguì sotto gli 18. di Luglio la sorpresa di Mantova, nuova che diede materia à discorsi, & à pensieri diverse; non creduta però da quando prima si sparse, ma poco dopo verificata. Le conseguenze, che la Guerra porta seco, etiandio trà più humani, e più ragionevoli Popoli; ( supposta anco ogni buona regola, & integrità dal canto de’ Capi, ) sono orrende: mà più che in altra congiuntura, considerate in un sacco, sono di pari inennarrabili, e funeste. Trema l’ animo, à fermarci sopra un solo giro di pensiero volante: nè il semplice astratto di sì lagrimoso supposito, può concepirsi senza spavento. Figuriamoci à corsa d’ immaginativa, una muraglia, mille è più volte percossa, e ripercossa dalle pietre pesanti, che sù l’impeto della fiamma concetta in un punto, e partorita dall’ aluo del fulmineo bronzo, tuonando, e saettando, aprono l’ adito à lor medesime, mentre ambiscono di precorrer la Morte, che si avvicina nelle spade, e nell’ haste vittoriose. Non hà dubbio, ch’ appena sdruscito il muro, si vede spiccarsi con quella bizzarra prestezza, e subita furia, ch’ è propria di quel Soldato, nel cui arbitrio rimane la Città vinta, una squadra, e poi un altra, & un altra dell’ Hoste avversa; e con gara precipitosa, levando le grida al Cielo, & imperversando contro la terra, avida delle prede, e pronta à gli stupri, con impeto indomito portarsi dentro la Piazza, quasi torrente, che non conoscendo ostacoli, diffonde se medesimo in un baleno, per le vie, anzi per le viscere della Città soprafatta. Veggo, s’io penso, ò parmi vedere, il Soldato inferocito oltra la solita baldanza, col ferro ignudo entrato dentro incalzare il Cittadino, il quale mentre si sente premere, & oltraggiare, corre per salvar il publico con incerto evento, certamente alla Morte. Ed ecco ( uccisi i più risoluti al diffender la libertà ) cercar il trionfatore, le Case di più Maestoso prospetto, a fine di trovar in quelle, prede più ricche, e Donne più atte à satiare le ingordigie, e le libidini. Me lo figuro con le bipenni, e con la scure, percuotere le porte, & abbatterle: quindi uccisi i resistenti, inoltrarsi alle stanze intime; dove trova in seno alle Madri essangui, le figliuole semivive; le Nuore atterrite, le damigelle spaventate: onde la canitie veneranda della Donna più attempata, derisa hora con amaro cacchino, e fatta scherzo del vincitore, è svelta dalla stessa mano della Donna derisa, che si vede rapir dal grembo più per obbrobrio che per diletto le bellezze della gioventà ch’ ella educò infelicemente.
E perche con libera lingua, rimprovera il temerario, ecco ch’ egli co ‘l pomo della Spada sfacciata, percuote, e frange le reliquie della dentatura antica, cui portò il tempo qualche rispetto; onde tinta la figliuola del sangue ch’ esce da quella bocca, che la bacciò nelle fascie, si contamina maggiormente, & abborrisce l’ huomo barbaro, come Basilisco mortale; risoluta immobilmente di ricettar prima il di lui ferro nel petto, che di far in se luogo, alle di lui dissolutezze. La vergine semplicetta, che non sà dove prorompa la militare licenza, gira lo innocente sguardo più al pugnale del nimico, che ad altro. La Matrona, che sà più certi i suoi pericoli, e gli altrui colpi, detesta la sua bellezza; lacera le già tanto dilette chiome; graffiando il volto lo trasfigura; e percuotendosi le dolci brine del bianco petto, v’ imprime sopra bruttisimi lividori: mentre in odio à si medesima, maledise i lisci usati, e gli artificij che la abbellirono, perche s’ accorge che servono d’ incentivi alla violenza dello intemperante che le sovrasta: il quale hormai risoluto, dopo breve perplessità dell’ appigliarsi à questa, ò à quella stende il braccio licentioso verso la Vergine; e con quello scortese termine, che man villana stroppiccia, e sboccia Rosa pulcelia, s’ avventa egli a quella bocca, ch’è sforzata d’alitar l’ ambre de’ suoi fiati, nelle sozze fauci, cui riempì Bacco poco dianzi de’ fetori della ebrezza. E le poppe, ch’ appena spuntano, compresse da silveste mano, portano dolori al cuore, che aspettava esser consolato da vezzi teneri, & amorosi, al tempo de gli honesti Himenei: quindi, rotte appena le pudiche custodie del nascimento, avido il bizzarro di nuovi nettari, si scaglia alla Sposa timida, che appena il sente, ne’ vestigi della Vita ch’ è per abbandonarla; e sotto gli occhi del Consorte hormai captivo, e che si muore disperato à così laido, e dispiacente spettacolo, si fà tiranno delle gioie altrui destinate.
Cosi afflitte dalla indiscretione che le opprime, e dal dolore che le trafigge, muoiono di doppia Morte; e sù le soglie del morire, rinovano ad onta del voler proprio la infausta Vita; mentre vedono il Vincitore, aspirando ad altri, che ad amorosi tesori, scagliarsi all’ arche dove solevano frà le gioie tener i cuori, e le anime. Spirando gli ultimi fiati si maravigliano di vedere lo indomito, per sovverchia sete di rapire, e di appropriarsi, ferir con pesante clava, e fracassare lo scrigno, con lunga opera da perita mano di rare pietre, e di fogliaggi d’ argento e d’oro contesto: E dalle vesti, con artificio mirabile ricamate, vede levar in misera guisa i cari ornamenti, che per loro sorte malnata, d’aurate fila rilussero. Mà ecco mentre questi rapiscono, e quelli stuprano, altri in mortal miscuglio s’ azzuffano; & à stretto campo riddotti, fanno fischiar le Spade, che infellonite nel ferire, non fan por fine alle Morti, se non quanto lo scoppio de’ cavi ferri, hor quella, hor questa, fà con la Morte del feritore, rimaner di ferire. I cumuli de’ cadaveri, servono hora d’ impedimento, & hor di trinciera a’ combattitori, che se gli veggono cader su’ piedi, mordendo il suolo, e bestemmiando il giorno che nacquero. I pochi, che per misera ventura, s’ erano ricovrati, e miravano da sicura eminenza la mortifera pugna, si atterrivano al lampeggiar de’ nimici usberghi, in cento parti cospersi dal civil sangue, ò del militare. Debole era il contrasto, estinta la maggior parte de’ Cittadini, e de’ Soldati che militavano per Mantova, dalla Pestilenza crudele, non ben ancora cessata: Mà lo stretto numero era di modo coraggioso, che bene spesso cento nimici pagarono una sol Vita.
Non è oggetto della Penna, intenta à piangere le Veronesi sciagure cagionate dal Contagio, di rammemorare in questo luogo il valor d’ un Carlo, Duca di Mantova, e di tanti altri Campioni illustri; le cui Imprese, hanno à servire di materia à lunga Historia; che trasmetta a’ Posteri un raro essempio se non di Fortune, almen di animi di Scipioni, e di Alessandri. Che perciò sentitomi richiamare dalla militare licenza, intesa alle prede, mi volgo à mirar coloro, che m’ han dipinto le relationi de gli amici.
Questi come porta l’ uso delle Vittorie, guidati dall’ ingordigia dell’ oro, si avventavano à quelle pregiate machine di Crisallo, che tratte fin dalle viscere della Terra, furono con patienza d’ anni riddotte à corpi di Vasa maravigliose, sotto gli Duchi precessori, accerchiate poscia l’anse loro del metallo solare, per accrescimento di pregio; anzi per procurar loro à incentivi di ornamento, la rovina; posciache questi avidi, per rapirne gli aurei fregi, con pesante clava ferivano i ventri Cristallini, & in minutissmi pezzi li riducevano. Altri, con indiscretta, e pazza forfice, tiravano à forma di vestimenta bizzarre, i padiglioni più sontuosi, e le spoglie più ricche; in maniera che la metà dell’ habito casuale, si vedeva di serica porpora, l’altra di riccio soprariccio d’oro; mà non senza esser accompagnate da qualche reliquia dell’ antico succido, e mal composto vestimento. Si vedevano altresì alcuni con le robbe delle femine indosso comparire alle fattioni, senza pensare à qual sesso si convenissero, & à qual guerre, que’ molli, e delicati ornamenti, che offerì il caso alle lor mani, sconfacevoli à que’ volti minacciosi, cui pioveva anco orrida barba, e scarmigliata dal mento.
Mi s’offre parimente al pensiero, lo Spettacolo accennatomi da chi lo vidde, di quelle Matrone infelici, che raccolte delle proprie sostanze quelle ch’ erano di minor ingombro, e maggior valore, ( come il tempo lor permetteva, allhora più che mai volante, ) e salito il cocchio per condursi in sicuro ne’ Sacri luoghi, & assalite in mezo il camino dal nimico vittorioso, e mi par vederle, quasi novelle Atalante, per, arrestar il corso che le seguiva, gettar dalla carretta quando un monile, quando un gioiello, talhora anco qualche vezzo di Margherite, per ingannar il passo che le seguiva, e per riddurre la honestà almeno ignuda in sicuro. Penavano intanto altri in diversa guisa, ( per quello che la Fama ne sparse ) ne’ medesimi affanni: percioche prevedendo con cura provida, ciò che probabilmente era da temersi; e volendo sottrahere alle ingiurie della Vittoria qualche portione del loro havere, per ritornarne, quando possibil fosse, in possesso, nascosto haveano dentro i più cupi, & i più sordidi ripostigli, qualche copia d’ oro, e d’ argento; mà indarno s’ avisarono di ciò fare; quandoche da gli oltraggi, e dalle sferzate, neccessitati furno di palesare le cose ascoste: onde anco gl’ infermi stessi, furono astretti di avvalorare il debol passo, nel colmo de gli accessi morbosi, per andarsene à tradire loro medesimi, col manifestare ciò ch’ appena alla mano propria havevano rivelato.
Frà gli oggetti più mostruosi, e degni insieme di compassione, e di riso, furno vedute, piovendo assai largamente, alcune carra onuste di Cofini, e d’ altre arche nel di fuori vilissime, mà ripiene di civili sostanze, coperte di sontuosissime portiere, di nobilissimi arrazzi, e di padiglioni d’oro, e di porpora senza prezzo, perche l’ acqua cadente non offendesse l’ arche e i Cofini ignobili. O revolutioni ! Non basta lo generoso cuore de’ Capi, à frenare la cupidigia delle torme, che più tosto guadagno, che gloria si propongono ne’ lor rischi. Questo esempio, di tali, ò somiglianti sciagure, divolgato per gli orecchi Veronesi, cagionava in quelli c’ haveano minor coraggio, e ch’ eran più afflitti, notabile commozione; parendo al melanconico, e all’ infelice, d’ esser bersaglio di tutti gli scempi possibili ad avvenire, ò avvenuti altrui: che perciò avanzandosi nella bassa plebe il timore, montava anco più sempre il furore della Pestilenza; à segno che nel Lazaretto superando le quattro migliaia di persone ad un tempo, non solo si rendevano di tanto numero incapaci le vecchie fabriche, ma etiandio le molte baracche di legname, edificate di fresco, riuscivano ancora scarse: attanto che, con le vele di galera convenne formare nuovi coperti, per alloggio de gl’ infermi. Nella confusione, e nella frequenza delle morti, pur scintillava qualche semilieto raggio di Vita, risanando assai persone: alle quali erano assegnate stanze divise per la solita contumacia, primache potessero essere alla Città restituite; prohibito loro intanto con severissime pene il commercio ò con infetti, o con sani.
Nelli vent’ otto, cominciò il numero de’ morti à ristringersi, mà non à sminuirsi il danno della Città; conciosiacbe pativa Ella maggiormente nella Morte de’ pochi soggetti conspicui, che già nella moltitudine popolare: poiche in quel tempo si perderono alquanti riguardevoli Cavalieri, tocche le Case di Malaspini, Verità, Sagromosi, & altri principali della Nobiltà Veronese.
La Cathedrale di cento settanta Ecclesiastici, si riddusse in men di venti; perche di ventuno Canonico, dodeci si morirono: quasi tutti gli quarantacinque Cappellani residenti, da ottanta Titolari, e tutti gli Acoliti, e Chierici, ch’erano circa cento: onde restò il Domo a’ primi di Luglio, orridamente deserto, come tutte l’ altre Collegiate.
Alli ventiduo, Monsignor Alberto Valerio Vescovo, atterrito non meno dalla fierezza del male, che da peggiori conseguenze, con le più pretiose cose ricovrossi in Legnago, portando punta fatale in seno, che dovea ucciderlo, contratto già il Morbo da’ familiari. Riddottosi poscia à Lusia, luogo del Padovano, per indi trasferirsi à Venetia, fù al primo di Settembre oppresso da improvisa impestuofa disenteria, stilmata pur anco specie del male aborrito, benché mascherato sotto altre sembianze, onde senza testamento, d’ anni sessantanove, dopo il trigesimonono del suo Vescovato, passò ad altra Vita.
Il Capitolo, inteso l’ essito del Pastore, conforme al Sacro Concilio di Trento, elesse immediate con tutt’ i Voti, Vicario Generale con la omnimoda auttorità, Monsignor Cozza Cozza, Arciprete della medesima Cathedrale, per natali consipicuo, per costumi riguardevole, e per eruditione celebre: capo di nobilissimo corpo, che per ordine del medesimo, patrocinava gravissimi interessi Capitolari à Venetia, condotti pur dalla valorosa assistenza sua, alla notoria espeditione con incredibile applauso: e dalla Divina providenza più tosto, che dall’humano avvedimento preservato dalle male influenze predominanti; perche fù richiamato à Verona mentre colà cresceva il Morbo, e quì scemava; confermati col suo arrivo, e col maneggio de’ negotii, l’ openione dell’ universale di lui concetta; perche riparò ad infiniti disordini, e particolarmente eresse il prostrato culto divino, nella medesima Cathedrale, e successivamente in tant’ altre Chiese destitute; impiegandosi con somma edificatione personalmente, fino nelle più humili, e laboriosi fontioni, per destar con l’ essempio, e con l’ opera ne’ cuori agghiacciati, il fervore quasi sopito. Vietò con novi Ordini, gli accessi à Monasterii di Monache. E perche nel Contagio orribile, vacarono più di quattrocento beneficij Ecclesiastici, trà quali più di cento venti Curati, molti delti quali rendono oltre millecinquecento, e tal uno tremille Scudi, per tanto hà egli potuto negli concorsi gratificare numerosa schiera di virtuosi concittadini, sempre à gli esteri preferiti con immortal commendatione. Onde si può veramente dire, che sia stato un breve Pontificato, e che dal Vescovo Pietro Scaligero in quà, infelicemente estnto del 1579. dopo diecisette nostri Pastori, tutti d’ aliena Patria, per lo spacio di 252. anni, come hà ricercato la conditone de’ tempi, non sia stato altro nostro Concittadino, che ne’ più habbia distribuito, nè retto habbia più ampiamente questa Episcopale giuridittione; che anzi questo à tutti gli altri passando avanti, hà sostenuto di più quella dello stesso Capitolo come Arciprete, e dell’ Abbatia di San Zeno come Commissario; accresciuto con varj brevi Apostolici à lui diretti, per commodo della Religione; onde si rende Prelato conspicuo alla Posterità, sì per esser giunto all’ apice de gli honori Ecclesiastici della Patria, come per havere con una rara modestia, e religiosa prudenza e desterità, nelli affari sacri, e civili, dati amplissimi testimoni della sua Virtù.
Morì sotto il giorno delli vent’ otto di Luglio, Giovanni Pona, Semplicista, & Antiquario famoso, stimato da Cardinali, & altri gran Principi, dopo essersi con incessante sollecitudine impiegato nel servitio del privato, e del publico, sommistrando altrui quelli antidoti, che bisogna confessare che con tutta la loro eccellenza, & energia non arrivano à contraporsi alla malitia della Peste, lo cui solo adequato contraveleno, e ’l fuggire ogni commercio. Il Consilio, solito ad essere di centocinquanta soggetti, si riddusse à più di cinquanta luoghi vacanti. E così sollevate le più ignobili viscere del corpo civile, pareva che in più dura guisa languisse il cuore, nella ghiattura de’ più degni.
Ma se minore si faceva la copia de’ morti nella Città, maggiore si faceva nel Territorio: estendendosi lo incendio con mortifere fiamme, anco alle Ville più remote, e più montuose, che da certi più providi, erano state con fallace avvedimento, elette per asilo di sicurezza.
Per vietar adunque, che di nuovo il Contagio dentro le Mura si avvanzasse, per lo commercio di persone rurali, fu prohibito, che nissuno ò originario, ò per accidente habitatore del Contado, potesse esser admesso nella Città: Vietando non meno sotto pene gravissime à qualsivoglia persona, il poter à tali dar Casa per habitare. Che anzi fù espressamente intimato, che ogni persona rurale dovesse in termine di duo giorni essere partita dalla Città; e ciò per publico Editto, publicato sotto gli vintisette di Luglio.
Publicati furono anco sotto gli sei d’ Agosto altri Ordini fruttuosi, da esser posti per lo medesimo Territorio in esecutione; così intorno la pratica degl’ infetti; e sospetti sotto pene severissime prohibita, come delle denontie da esser date da’ Chirurghi di giorno in giorno; del sovvenimento de’ poveri; della interratione de’ cadaveri; delle fontioni de’ Ministri; e delle dadie da porsi nella Communità; aggiuntivi altri particolari, spettanti alla universale salute.
E perche per sicura parte s’ haveva, che la Peste tuttavia fiera continuava à travagliar Brescia, & il Bresciano, per tanto sotto il dì stesso de sei d’ Agosto, fu publicamente bandita quella Città col Territorio, imposto à contrafacienti severissimi castighi.
La licenza in questo mentre d’ alcuni degli Deputati delle Contrade, salita era tant’ oltre, ch’ ardivano alcuni d’ essi, non solo tener appresso di se le chiavi delle Case per sospetto rinchiuse, mà di asportar etiandio da esse, mobili, & utensili, con pregiudicio gravissimo del ben publico. Ilche pervenuto à notitia del Zelantissimo Vallaresso, fù da lui sotto gli ventisette d’ Agosto, fatto publicar un Proclama, in virtù del quale dovesse cadauna persona tanto privata, quanto i Deputati medesimi, che appresso di se tenivano chiavi d’ alcuna Casa sospetta, in termine di tre giorni presentarle presso l’ Ufficio di Sanità, sotto pene molto gravi.
Furono in tanto deputati alcuni luoghi allo sborro delle robbe sospette, cioè le chiodare de’ panni per gli tintori, vicine per maggior commodo, all’ acque correnti: stabilite regole neccessarie, medianti le quali, senza smarrirsi alcuna cosa, restasse il tutto purgato, e netto.
Intorno il settimo d’ Agosto, rintuzzato finalmente il taglio del pestilente coltello, non più di sessanta il giorno ne rimanevano uccisi, e la declinatione del Morbo si conosceva sì evidente, che non restava più dubbio à Medici, ò ad altri, se veramente cessassero le Stelle, e più di prossimo la putredine venefica, di trucidare i miseri Popoli con la guerra mortifera. Fù preveduta puntualmente da Francesco Pona questa aversione del flagello, al mezo Agosto; predicendo Egli ciò nella Remora, scritta, e Stampata cinquanta giorni prima: & aggiungendo, che nel partirsi di Verona, si sarebbe andata altrove, come hà fatto, avanzando. Gli eventi non hanno deluso il vaticinio: conciosiache dalla formal Pestilenza, cominciarono le febbri à farsi parte maligne, parte terzane esquisite, ò spurie, che appunto di terzane erano in que’ giorni indisposti il Duca Enrico di Candalle, il Podestà Foscarini, il Cabellano Emo, & altri conspicui Personaggi, oltre le persone popolari.

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This text is a part of the publication and translation of Il gran contagio di Verona nel milleseicento, e trenta (1631) by Francesco Pona (1595–1655), an eyewitness account of the plague epidemic in Verona in 1630.
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